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Separazione e divorzio: qualche mito da sfatare 19 Novembre 2016


divorzio

Quando si parla di separazione e divorzio è importante porre l'attenzione sugli effetti a breve e a medio termine che la fine del matrimonio produce sui figli, ma è anche necessario considerare gli effetti a lungo termine, di cui solitamente ci si occupa in modo minore.

Una convinzione alquanto diffusa è che se nel giro di uno o due anni i figli trovano un adattamento, allora il “lutto” per la perdita dell'unità familiare è del tutto elaborato. Questo, però, non tiene in considerazione la grande imprevedibilità e complessità dell'individuo che, se da un lato riesce a trovare meccanismi di difesa in grado di fargli superare nell'immediato la difficile situazione, dall'altro subisce cambiamenti profondi e irreversibili nella propria personalità. Alcuni individui sono in grado di mantenersi comunque ottimisti e non perdono la fiducia in se stessi mentre altri si portano dietro gli strascichi di una così difficile situazione.

La separazione o il divorzio dovrebbero rappresentare la fine delle ostilità tra i coniugi e dare inizio ad una nuova fase della vita. Non sempre, però, la realtà è così semplice. Quando le separazioni non sono consensuali i conflitti tra i coniugi continuano anche dopo la separazione. Ed anche nei casi in cui non ci siano grandi ostilità all'interno della famiglia i figli non vivono la scelta dei genitori come un punto di svolta definitivo per iniziare una nuova vita più serena. Il divorzio per loro può rinnovarsi di fatto molte volte nel corso del tempo: ad esempio durante le vacanze e le feste di fine anno, negli anniversari, in occasioni speciali come la laurea, il matrimonio o la nascita di un figlio. Un'altra convinzione diffusa ritiene che se i genitori sono più contenti, anche i figli saranno automaticamente più contenti. Ciò può essere vero in alcuni casi ma non in altri. Il punto di vista dei figli e la loro condizione emotiva possono essere molto differenti da quella dei propri genitori. Da bambini si tende ad idealizzare la famiglia, si vive immersi nel presente senza curarsi del futuro. I litigi se non sono dissestanti, continui o particolarmente violenti non sono per loro un motivo sufficiente da giustificare una separazione. Soltanto con il tempo, quando si raggiunge un certo grado di maturità si comprendono, e magari si condividono, le scelte dei propri genitori.

La separazione, anche quando viene gestita discretamente da entrambi i genitori, provoca spesso sentimenti di abbandono, paure, rabbia, e qualche volta sensi di colpa. Il sistema delle visite al genitore non affidatario, poi, può essere vissuto in modo completamente diverso dai genitori e dai figli infatti mentre i primi ne vedono razionalmente le ricadute positive, i secondi le possono vivere come artificiose ed arbitrarie.

Si ritiene inoltre che il divorzio è una crisi passeggera che raggiunge il suo apice al momento della rottura. I genitori convinti di questo ritengono che il segreto per separarsi senza danneggiare i propri figli stia nel non litigare in loro presenza, trovare presto un accordo per ciò che concerne la soluzione abitativa e il mantenimento e soprattutto ripristinare quanto prima un equilibrio nel nuovo assetto familiare. Ciò non è sempre vero in quanto gli scontri al momento della separazione sono soltanto un aspetto del problema. Nel corso degli anni, infatti, i figli possono vivere altre solitudini e altre angosce, come dover viaggiare da soli in treno o in aereo per raggiungere un genitore lontano, traslocare dalla propria casa, lasciare gli amici, avere problemi economici, affrontare da soli situazioni angoscianti, prendersi carico di un genitore che sta soffrendo. La ragione per cui i genitori spesso tendono ad adagiarsi su di una di queste convinzioni è da rintracciarsi nel fatto che essi tendono a sottovalutare l'impatto negativo che il divorzio potrebbe avere sui propri figli. Questo accade perché proiettano i propri stati d'animo e le proprie aspettative sui figli, oppure perché sottovalutano i sentimenti dei bambini, o infine perché hanno bisogno di pensare, per la propria tranquillità, che questi non soffrano per causa loro.

La società in cui viviamo fa di tutto per annullare il dolore, per anestetizzare le esperienze negative affinché si passi indenni attraverso le esperienze della vita. Questo però, non tiene conto del fatto che il dolore non è un bene in sé ma un catalizzatore di energie che, sottratte alla disperazione, possono essere riconsegnate alla speranza, recuperate alla creatività di una vita che continua, non semplicemente nel segno della riparazione, bensì della ri-creazione. Le risorse, invece, vengono dissipate se abbandonate alla rimozione e all'oblio, la grande tentazione di chi non sa o non vuole soffrire. L'inconscio ci avverte, però, che la vita negata permane come energia inutilizzata creando una tensione che implode nella mente e nel corpo di chi soffre.

Chi è immerso nella sofferenza solo inabissandosi sino a scorgere le ombre sul fondo può trovare la forza di risalire, non per galleggiare ma per nuotare ancora.

Dott.ssa Francesca Fontemaggi

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